sabato 18 maggio 2013

AMORE O DIPENDENZA?

Nel Simposio di Platone,  viene riportato ed elaborato il mito greco degli ermafroditi. Secondo questo mito, all'origine dei tempi gli esseri umani erano perfetti e non vi era suddivisione fra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione.
Tra perfezione e dipendenza, dove sta  l’inganno?
La dipendenza affettiva è un problema che viene analizzato già nel 1945  da Fenichel, uno psicanalista che pubblica il Trattato di psicanalisi delle nevrosi e psicosi nel quale introduce il termine “amore dipendenti”. Successivamente questo tema  viene ripreso in considerazione dal grande pubblico intorno agli anni 70 grazie alla psicologa americana Robin Norwood, che pubblica il libro “Donne che amano troppo”. La Norwood pone l’accento sulla difficoltà nel riconoscere la dipendenza affettiva rispetto ad altri tipi di dipendenze in quanto essa all’inizio, nel momento dell’innamoramento,  appare “naturale”. Ma chi dipende, in seguito, dedicherà completamente tutto sé stesso all’altro, vedendo nell’amore l’unica soluzione dei suoi problemi, che spesso hanno origine dai vuoti affettivi dell’infanzia.
Amare è come una droga: all'inizio viene la sensazione di euforia, di totale abbandono. Poi il giorno dopo vuoi di più. Non hai ancora preso il vizio, ma la sensazione ti è piaciuta e credi di poterla tenere sotto controllo. Pensi alla persona amata per due minuti e te ne dimentichi per tre ore. Ma, a poco a poco, ti abitui a quella persona e cominci a dipendere da lei in ogni cosa. Allora la pensi per tre ore e te ne dimentichi per due minuti. Se quella persona non ti è vicina, provi le stesse sensazioni dei drogati ai quali manca la droga. A quel punto, come i drogati rubano e si umiliano per ottenere ciò di cui hanno bisogno, sei disposto a fare qualsiasi cosa per amore “. Paulo Coelho 
Giuseppina Tazzioli e Gian Paolo Del Bianco hanno scritto un saggio sulle dipendenze affettive dal titolo molto significativo “Vuoto per pieno”dove gli autori dicono:
“Nelle storie delle dipendenze affettive è possibile rintracciare, sempre, incrinature dei due messaggi costitutivi dell'intera struttura dell'Io, tu sei amato, tu vali, che derivano dal rapporto d'amore originario con i genitori. Poiché le incrinature sono determinate da un incontro mancato col genitore, è proprio la mancanza che viene registrata a livello inconscio, ed è proprio la mancanza ad essere rievocata nella relazione amorosa. L'incontro mancato diviene l'unico incontro possibile e la ricerca si affanna su colui che della sua assenza fa la sua più assoluta presenza.
Questo è il gioco: ripeto all'infinito la scena in cui l'altro è finalmente mio e, se si assenta, lo riporto da me, nel santuario che gli ho consacrato; inganno me stessa, scambiando gli scampoli d'affetto e di considerazione con l'amore autentico e assoluto. Scambiando la parte per il tutto, le dipendenti affettive evitano di cadere rovinosamente nel vuoto lasciato dalla relazione originaria, che illusoriamente desiderano riempire attraverso la relazione con l'altro; e questo è l'inganno.
Se vivo il tempo dell'attesa, abito il paesaggio emotivo della speranza. Nel santuario consacrato all'altro posso sperare l'insperabile, come un devoto convinto di essere ascoltato ed esaudito dal proprio Dio. Combatto tutti coloro che cercano di incrinare, anche di poco, la mia fede, che deve mostrarsi incrollabile.
Quale funzione svolge la dipendenza affettiva nell'ambito dei tratti fin qui delineati?
Incarnare nel presente l'abbandono vissuto nel passato, in un valzer infinito di ripetizioni: questa sembra essere la funzione difensiva dell'Io, che non tollera che l'altro si sottragga al mandato di sanare le sue ferite. Esse affondano le proprie radici non solo nella storia vissuta, ma anche nelle storie accadute nelle generazioni precedenti e trasmesse a livello inconscio, all'interno di legami nascosti dell'albero genealogico, che passano di generazione in generazione e si radicalizzano nel rapporto di coppia, marcando un indebolimento del maschile e del femminile.”
Rimanendo in ambito letterario il libro “L’amante” di Marguerite Duras esprime il disagio esistenziale d’amore, attraverso la storia tra una giovane ragazza e il duo amante. Un amore “malato” perché  legato alla necessità di annullamento, di attutire il senso di oppressione e desolazione che la famiglia disastrata della giovane aveva innescato.
C’è una serialità ed una circolarità di pensiero in chi non esce dal ricatto affettivo dell’infanzia.
E’ come se fosse vittima dello stesso alfabeto comportamentale.
Abbiamo più volte detto e scritto che il vero amore segue strade diverse, altri percorsi. Usa altre parole, disegna nuovi colori.
Credo che si è dipendenti dall’altro quando si è dipendenti da un modello, da un clichet, da una maschera che indossiamo per stupire l’altro e rassicurare noi stessi. E’ una dipendenza al rovescio, ma pur sempre tale.
Gli “Analfabeti d’amore”, ovvero coloro che non sanno leggere e scrivere nel cuore delle donne, in realtà hanno poca dimestichezza anche con il proprio cuore, con la propria intimità più profonda. Ed è per questo che affidano la loro vita ad uno stereotipo, nella speranza che possa tranquillizzarli dando loro un’identità certa.
Ma, come molti filosofi ci hanno insegnato, la maschera è una ricchezza e un’opportunità in più solo se è intercambiabile, se è gioco consapevole della moltitudine di sfumature che attraversano l’essere umano. Nel momento in cui si decide di fissare la propria immagine in un clichet, in qualcosa di  statico e pre-definito, sia esso fisico, comportamentale o psicologico, come d’incanto il gioco si trasforma, diventa rigidità, fissità, fino alla morte della coscienza.
Esiste un modo per vivere l’amore  in modo sano, sempre che questa parola abbia un senso? E come deve essere un amore per essere tale?
A questa domanda Gibran ci risponde in modo illuminante:

Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di Dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
e tra voi danzino i venti dei cieli.
Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione d’amore:
piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Riempitevi l’un l’altro le coppe, ma non bevete da un’unica coppa.
Datevi sostentamento reciproco, ma non mangiate dello stesso pane.
Cantate e danzate insieme e siate allegri, ma ognuno di voi sia solo,
come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
Donatevi il cuore, ma l’uno non sia di rifugio all’altro,
poiché solo la mano della vita può contenere i vostri cuori.
E state uniti, ma non troppo vicini:
le colonne del tempio si ergono distanti,
e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro
E voi, che ne pensate?

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